Italian style

photo of assorted vegetables and fruits on rack
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Ormai manco da un po’ dall’Italia, quindi ho quella posizione privilegiata che mi consente di vedere meglio quelle manie, quei cliché, quegli stereotipi. Il mio termine di paragone sono gli italiani del nord, so bene che al sud la situazione è un po’ diversa. Ecco, quindi le principali differenze tra l’americano del sud e l’italiano (imbruttito) del nord.

Al volante

In un giorno ho sentito più maledizioni dai milanesi che dai mangiamorte di Voldemort. E’ stato un havada kedavra dietro l’altro. E avevano ragione loro. Perché io ormai guido alla texana, che non vuol dire col cappello, gli stivali e la pistola, bensì tranquilla, rilassata, senza fretta e, soprattutto, con immensa gentilezza verso il genere umano al volante. Quindi faccio passare tutti, non mi preoccupo di infilare la corsia più breve, non suono il clacson, ringrazio ogni volta che mi danno strada e quando vedo un pedone sul marciapiede mi fermo 5 metri prima delle strisce pedonali nel dubbio che voglia attraversare la strada. Questo perché mi emoziono a vedere i pedoni. Ad Austin non ce ne sono, in pratica.
Quando metto la freccia per cambiare corsia mi aspetto, come succede ad Austin, che il traffico si blocchi per farmi passare. Qui, invece, non succede. Le auto sfilano con arroganza, le persone al volante mi guardano con aria di sfida, come a dire “dove cazzo volevi andare tu? Adesso aspetti”, e io resto lì, incredula, con il tic tic della freccia, minuti e minuti, per poi partire a scatto, eludendo l’automobilista più distratto e mandando su di giri di il motore con un rumore che neanche l’Apollo 11.
Se non mi mandano a quel paese, mi guardano male, malissimo, con facce cattive e occhi brutti. Ieri una persona che conosco, nel superarmi, mi ha uccisa con lo sguardo, per poi riconoscermi e cambiare di botto espressione come se la possessione demoniaca che evidentemente scuoteva il suo corpo e il suo cervello si fosse improvvisamente dissolta.
Che stress guidare da queste parti…
Mi sento molto più al sicuro sulla mia MoPac, in mezzo a truck che potrebbero tranquillamente inglobarmi con tutta la macchina nella loro carrozzeria, che qui, con queste nano-macchine pilotate da isterici, vendicativi, cattivissimi milanesi imbruttiti.

La gentilezza

…questa sconosciuta. Io ormai sono abituata a grandi sorrisi e chiacchiere facili. Qui, invece, la gente corre e, udite udite, non ti guarda nemmeno in faccia. Io parlo con tutti, ormai. Ieri la donna delle pulizie del condominio stava pulendo le scale e io, passando, mi sono scusata per il fatto che stavo rovinando il suo lavoro con il mio passaggio. Lei mi ha guardato proprio con l’aria di chi pensa “ma questa è scema”, allora io, non paga, le ho fatto i complimenti per il profumo del detersivo che stava usando e, dato che il suo sguardo diventava ancora più fosco, le ho chiesto il nome del prodotto. ¨E’ un mix” mi ha detto, e secondo me aveva paura che fossi una squilibrata. Probabilmente nessuno se la fila di pezza, solitamente. Tutti camminano sul suo pavimento lucido abbozzando un saluto e spariscono dalla sua vista mentre lei gli crista dietro nella testa perché ora dovrà ripulire tutto dall’inizio…
Al di là di questo, in generale, la gente qui ti ignora. Non è che ti tratti male. Semplicemente è come se tu non esistessi.

L’eleganza

Dopo un anno e mezzo in ciabatte e mollettone in testa, qui mi sento davvero a disagio.  I milanesi sono eleganti sempre, anche quando esci con loro per un caffè. Una cosa bella degli USA è che a nessuno frega niente come ti vesti o come porti i capelli. Si interessano più a quello che hai da dire, a chi sei. Se questo, però, da una parte è bellissimo, dall’altra non ti spinge assolutamente a curare il tuo aspetto o vestirti in modo ricercato. Quindi io ad Austin vado in giro come se stessi uscendo da una lezione di yoga, o da una giornata in officina, o direttamente dal letto. Qui sto sforzandomi di vestirmi meglio, ma ho scoperto che ormai i milanesi hanno un altro passo, quindi il mio sarà un mese da sciattona, punto. Sto pensando di puntare sulla mia esoticità e indossare vestitini e stivali da cowboy. Almeno la gente penserebbe “eh, ci credo, ormai vive in Texas…”

Happy hour

Darsena. Ora dell’aperitivo. Una sola parola: figata.
Quanta bella gente, quanta vita, quanto colore! Milano è modaiola, sofisticata, brillante, e ieri mi sono persa tra graffiti, balconi in fiore, bicchieri di Spritz, risate, parlate diverse e perfino qualche volto famoso. Milano non è più la città del lavoro (anche perchè lavoro non ce n’è più per nessuno, neanche qui), è diventata la città dei giovani, del divertimento, dell’happy hour. Ed è veramente l’ora felice, questa. Con il sole un po’ più basso tutto diventa più romantico, si tinge di effetti speciali e la darsena regala alla città l’aspetto di una città nord-europea, solo con un clima più caldo. Tutti mi sembrano bellissimi e felici: un ragazzo tira fuori dal baule della sua Porsche dei sacchetti di Gucci, Zegna e Prada, un tavolo di amici se la ride, tra loro c’è un comico abbastanza famoso e la gente ogni tanto si ferma a fare un selfie o a dirgli “oh, ma sei tu?”, io chiacchiero con la mia amica Lu, che è bellissima, dentro e fuori, e perfettamente in linea con l’estetica della Milano più dolce.
Anche Austin è una città giovane e allegra. La movida è vivace, certo, ma la classe e lo stile lasciano proprio a desiderare. Se Milano ha eleganza da vendere, Austin ha salsicce e costine da vendere. Questione di gusti, per carità, ma il colpo d’occhio è impietoso: mentre ad Austin gli odori dei food truck riempiono l’aria e tutto sa di unto, di barbecue, di carne al sangue, a Milano gli stuzzichini dell’happy hour sembrano dei piccoli quadri, e quasi ti spiace toccare quelle olive, quel paté e quei formaggi tagliati con l’armonia della sezione aurea…

Il Made in Italy

La prima cosa che ho fatto, una volta toccato il suolo italico, è stato andare al mio Carrefour preferito, prendere il cestino e dirigermi al banco dei salumi: San Daniele, mortadella e salame, più tre michettone grandi così, a un prezzo che mi veniva voglia di dare la mancia al salumiere. Anche in Texas trovo queste cose, non è che ci manchi il salame, infatti. Ma costa come farsi un bracciale di zaffiri, al punto che, quando lo compro, me lo metterei al braccio prima di una serata elegante, se non fosse che ho fame. E che le serate eleganti sono introvabili, o se ci sono non vengo mai invitata.
Poi sono andata al mercato, e ho visto i pomodori, la frutta, le zucchine, tutto a un euro al chilo. Sono tornata a casa carica di colori e di profumi ed ero alleggerita di giusto un deca.
Ho mangiato cappuccio e brioche spendendo 2 euro e 20…ad Austin non spendo mai meno di 8 dollari più la mancia. E’ vero che mi danno un catino di cappuccino e una brioche che sembra la vela di una barca, però, dai…

La mancia

Lo sapete tutti, immagino, che negli USA la mancia è praticamente obbligatoria ed è circa il 20%. Non è che sia una regola, però mi è stato spiegato da americani veri che non darla è una grande scortesia, giustificata solo da un servizio pessimo. All’inizio questa cosa mi dava un fastidio pazzesco, anche perché su una cena da 100 dollari il conto ti sale a 120, mica poco. Ora invece mi piace dare la mancia ai camerieri, anche perché in pratica le mance sono il loro stipendio. Lascio quasi sempre il massimo possibile, come gesto di riconoscenza per la gentilezza e la cura che danno ai clienti.
Anche qui mi piace dare la mancia. E siccome qui non è così scontato che la si lasci, i camerieri sono ancora più riconoscenti e ti salutano con un bel sorriso. I miei amici qui in Italia non la lasciano mai, non sono abituati. Quando lo propongo mi guardano torvo e mi dicono “eeeeeehhhh?”. Ma a me pagare un fritto misto 15 euro mi commuove, non c’è niente da fare. Ad Austin con 15 dollari mi compro un burger con le patatine. Quindi la mancia la do. Sempre. Anche e soprattutto qui in Italia.

Dopo quasi due anni negli USA, quindi, scopro con piacere di essere ancora italiana, sì, ma di aver acquisito anche delle nuove abitudini e un nuovo stile di vita. Capisco anche di essere fortunata, perché vivere in un altro Paese ti dà nuovi occhi e una nuova lente d’ingrandimento sulle cose, punti di riferimento che non avresti immaginato e nuovi modi di metterti in discussione. Per me avere il cuore diviso tra due case è un po’ questo: prendere il buono da entrambe, essere ambasciatrice di due mondi, accostarmi con umiltà a pregi e difetti di queste due culture. Tirando una linea e cercando di stabilire quale sia la migliore, la risposta è solo una: di migliore c’è solo quello che siamo in grado di tirare fuori noi. Tutto il resto, sono solo luoghi comuni.

 

4 risposte a "Italian style"

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  1. Interessante, sono cubana, ho vissuto in Italia 14 anni, sposata con un italiano da 23 anni e abbiamo cambiato paese per andare in Spagna per lavoro perché in Italia la cosa si faceva dura… dopo 4 anni nel nord della Spagna siamo venuti a Dallas in Texas dove ormai viviamo da 5 anni, al inizio fu difficile il cambio è brutale, siamo andati un anno a Miami e li abbiamo lavorato… ma impegni vari ci anno fatto ritornare a Dallas questa volta però abbiamo cominciato a vedere tutto diversamente cercando di vivere a fondo questa bella regione che guarda caso adesso ci piace tanto… scopriamo ogni giorno luoghi e bellissime cose di questa cultura texana, quando cominci a mischiarti con la gente di qui e vieni a sapere quali sono i posti da vedere, le feste, ma soprattutto cominci a capire come fanno loro per spassarsela capisci che anche te sei cambiato e impari a godere anche tu di quelle piccole cose che a questi texani fa orgoglio vivere… la loro libertà in tutti sensi soprattutto economica (perché qui si lavora duro ma si guadagna altrettanto) quindi ti permette di stare bene anche psicologicamente, ringrazio per le tue belle parole ed il fatto che mi fai notare ancora una volta che questa nostra scelta non è stato sbagliata, le nostre figlie meritavano un futuro migliore nella terra delle opportunità, un abbraccio

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  2. Complimenti per il blog! Ho letto la pagina “about me” ed è in linea con quello che sto vivendo io. Purtroppo io ho fatto il passo al contrario (mi sono trasferito in Italia 6 anni fà). Al momento mi trovo a un bivio, meditando un rientro negli Stati Uniti. La mia esperienza in Italia è stata pessima. I miei figli sono nati in America e, vista la situazione qui in Italia, sento il bisogno di riportarli nel paese dove sono nati. Anyway, grazie per il blog in quanto ci sono molte informazione per me utili a compiere questo passo molto importante. Grazie

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    1. Ciao Tom. Sicuramente l’Italia è un Paese con poche prospettive, soprattutto per i nostri figli. L’America, al contrario, è il Paese delle opportunità. Se non fossi italiana probabilmente gli USA sono il posto dove farei crescere mio figlio e la mia famiglia, te lo dico onestamente. Se poi dici che la tua esperienza in Italia è stata pessima, capisco la tua voglia di tornare a casa. Non c’è niente di male a far fagotto e tornare…L’esperienza di questi 6 anni non ve la toglie nessuno, fatene tesoro sempre! In bocca al lupo per tutto e, se ti va, fammi sapere quello che deciderai e come andrà…😊🤗

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  3. Condivido tutto quello che scrivi pur venendo da un paese che è agli antipodi degli USA: qui costa tutto meno, il cibo fa ugualmente cagher, la gente si veste da culo, i soldi (guadagnati e spesi) sono pochi, i guidatori sono di un egoismo schifoso e le strade malconce con merde di cane ovunque. Ma Milan l’è sempre Milan! L’ultima volta all’inizio mi sentivo a disagio, fuori posto. Poi alla seconda settimana fingevo già abbastanza bene di essermi riambientata. 😁 Inoltre mi sembrava così piccola…

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